la carabina
Per armare i suoi uomini La Marmora costruisce un’arma micidiale: una carabina a retrocarica che venne presentata già con la prima proposta del 1831 descrivendo così le caratteristiche della sua arma: “avvicinandosi di nascosto fino a 200 ed anche 250 passi dallo avversario, la mia arma possiede contro il fucile ordinario. a tempo eguale, una probabilità di colpire di 10 contro 1”. Era una novità assoluta, tanto che la Commissione chiamata ad esaminare il progetto decretò che “la sua combinazione era il prodotto di una immaginazione non corredata dai lumi della pratica”. Fu costretto a rivedere la sua proposta e nel 1836 presentò una carabina perfezionata ad avancarica, nota poi come "carabina Lamarmora", che illustrerà con un opuscolo dal titolo: Alcune norme sul fucile di fanteria e particolarmente nel Piemonte, risultato di ben venticinque anni di tiro al bersaglio. Questo nuovo tipo di carabina poteva sparare sino a sette colpi in due minuti e consentiva di sparare cento colpi prima che si rendesse necessario cambiare la canna. L’arma era dotata, inoltre, di una lunga baionetta ripiegabile che, conficcata sul terreno, poteva anche servire come appoggio per incrementare la precisione del tiro e l’efficacia del fuoco. Il vercellese generale Eusebio Bava scriveva ammirato nel 1839: “Varie esperienze provano la bontà della carabina di Lamarmora. Nelle diverse esperienze di tiro a cui ho assistito in Italia ed all’estero, non vidi mai risultati migliori”. Quest’arma fu poi sostituita tre anni dopo (1839), a titolo sperimentale, con una nuova carabina "LA MARMORA", rigata, ad elica, a percussione (sistema Dalvigne) e munita di calcio di ferro concavo, a due becchi, che si adattava alla spalla nelle operazioni di tiro; il becco anteriore, più lungo, detto sperone, serviva, conficcandolo sul terreno, ad agevolare l’arrampicata sui pendii scoscesi. La carabina era provvista di cinghia per il trasporto ed era dotata di una sciabola - baionetta, inastabile, che era portata (al fianco) ad un cinturino nero guarnito di fermaglio con piastra di metallo giallo dorato. L’arma denominata mod. 1844 poiché solo in tale anno, sia pur con lievi modifiche tecniche, ne fu ufficializzata l’introduzione in servizio, aveva le seguenti caratteristiche:
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era dotata di canna rigata (8 righe) del calibro di mm 16,9;
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consentiva il puntamento di precisione sino a 800 passi (650 m) mediante un alzo a cursore con tacche graduate per ogni 100 passi di tiro;
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disponeva di un meccanismo di sparo che consentiva di far avanzare, ogni qualvolta si armava il cane, una "bandella" metallica contenente in successione vari inneschi di fulminato, In tal modo l’arma rimaneva sempre innescata per una serie di 37 colpi;
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aveva una lunghezza pari a m 1,112;
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pesava kg 4,2 senza la sciabola-baionetta. Quest’ultima, a lama piatta e a due tagli, era lunga m 0,47;
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era munita di calciolo di ferro con due becchi di cui il più lungo (lo sperone) sporgeva di circa 7 cm. ",
I Sottufficiali ed i trombettieri erano armati con una versione più corta della stessa arma (lunghezza di m 0,95- peso kg 4).
Non essendo ancora in uso le cartucce vi erano una selezione di altri accessori costituiti da:
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scatola metallica contenente spugna e olio;
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borsa di pelle con forbici, spilletto, cava proiettile, giravite triangolari;
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attrezzo (succhiello) da avvitare ai tronchi d’albero per potervi appoggiare il fucile nei tiri di precisione alle maggiori distanze. Quest’attrezzo era allocato all’interno del calcio dell’arma, fissato con una vite a rotella;
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polvere da sparo, contenuta in una fiaschetta di rame assicurata al collo;
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pallottole, di forma sferica, custodite in una cassettina posta al lato destro dello zaino dove il bersagliere poteva accedere agevolmente. Egli, premendo con l’indice su una molla posta convenientemente nell’angolo dello zaino, corrispondente alla suddetta cassettina, da un apposito foro faceva cadere una pallottola nella mano.
Nel 1849 si rese necessario rinnovare l’armamento dei Bersaglieri, poiché appariva inferiore a quello degli altri eserciti. Venne adottato il fucile a stelo Francotte (Liegi), con canna rigata (4 righe ad elica) del calibro 17,5 mm e provvisto di alzo mobile a cursore con gradazione fino a 900 passi (720 m). Con questo furono armate principalmente le unità destinate alla campagna di Crimea. Nel 1856, al rientro della spedizione, fu adottata una nuova carabina a percussione (sistema Miniè), con canna rigata (4 righe a elica con passo di due metri) del calibro di mm 17,2. Nel 1868 furono apportate alla carabina significative trasformazioni ed in particolare fu introdotto il meccanismo a retrocarica (Carcano) con otturatore scorrevole, un congegno di sparo a spillo ed un alzo graduato sino a 750 metri. La cartuccia era composta di un contenitore di carta contenente una carica di polvere sulla quale veniva posta una pallottola ogivale. La cartuccia, così confezionata, veniva introdotta nella canna ed una volta chiuso l’otturatore, premendo il grilletto, si liberava la molla del percussore spillo che, dopo aver attraversato tutta la cartuccia, colpiva l’innesco detonante posto al fondo della pallottola. I residui della cartuccia venivano poi asportati, all’atto dell’apertura manuale dell’otturatore, da un estrattore metallico ad esso associato. Dopo la conquista di Roma, in seguito allo scioglimento dell’esercito pontificio, ai Bersaglieri furono assegnati, in via provvisoria, fucili e carabine (di preda bellica) Remington a retrocarica, del calibro di 12,7 mm, con canna rigata (5 righe ad elica), muniti di alzo graduato sino a 1000 metri e dotati di cartuccia metallica
Infine, nel 1875 i reparti bersaglieri furono armati con il miglior fucile dell’epoca: lo svizzero Vetterlì.
Quest’arma fu sostituita solo nel 1893 quando anche per i Bersaglieri fu adottato il fucile mod. ‘91 a ripetizione e a caricamento multiplo.